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Chi disegna la nostra realtà?

Su un fondo tenue, lottano tra di loro colori che dipingono una scena a dir poco drammatica: su uno sfondo confuso di blu e bianco il contrasto di queste figure nere. A prima vista, sembra stia avvenendo l’esecuzione di tre o più condannati attorno cui si mescolano al sangue rosso personaggi che presumibilmente la stanno mettendo in atto. Riaffiora nella mia mente un episodio molto noto: è la crocifissione di Cristo narrata nei Vangeli, tradotta nello stile dell’astrattismo. “Per forza rappresenta quello”, penso. In fondo, traspare tutta la drammaticità, la sofferenza e il caos descritto in quelle ultime ore.

Mano a mano che strutturò questa interpretazione, mi chiedo chi sia l’autore di quest’opera. Scoprirlo, però, cambia tutte le carte in gioco.

Oggi, infatti, rifletteremo sugli “occhiali” con cui ognuno di noi interpreta la realtà.

Sì, perché quest’opera, dietro a cui si può fantasticare, filosofeggiare e immaginare, andando alla ricerca del significato più recondito, è stata realizzata da un noto pittore degli anni ’50 di nome Congo: uno scimpanzé.

Immaginatevi questo: un primate con una tavolozza di colori, uno smock da pittore e una passione per la creatività. Bene, Congo è stato tutto questo e molto di più.

Tutto è partito da un’idea di Desmond Morris, uno zoologo e pittore, che nel 1956 mise nella zampa del suo amico Congo un pennello per osservare il suo comportamento creativo.

Ha dimostrato un talento pittorico straordinario, creando opere che ancora oggi catturano l’attenzione e stuzzicano l’immaginario di chi le osserva. Infatti nell’arco di tre anni ha prodotto 400 opere, di cui negli ultimi anni ad alcune è stato favorito il privilegio di venire esposte in esibizioni.

Chiaramente il suo pennello, ancora oggi, solleva domande intriganti sulla nostra comprensione dell’arte e della realtà. Le opere di Congo ci catapultano in un vortice di domande, che aprirebbero infiniti temi di dibattito.

Come possiamo interpretare l’arte di un animale? Qual è il significato che c’è dietro (posto che un significato ci sia veramente)? Qual è il confine tra l’istinto e la creatività? Con quali presupposti possiamo interpretare le opere di Congo?

Ma la questione più intrigante si potrebbe riassumere così: come interpretiamo le pennellate di Congo dipende da chi siamo e da cosa portiamo con noi.

E attenzione, qui si entra nel campo della soggettività.

Personalmente ho fatto un sondaggio e ho richiesto a più “occhi” di darmi un’interpretazione:

  1. “Hai ragione, sembra proprio la passione di Cristo… si vede la croce e di fronte gli altri due ladroni.”
  2. “Mi suscita un’emozione… turbamento… forse raffigura un’esplosione. Però c’è anche una donna seduta al centro.”
  3. “Sembra che a qualcuno sia caduta la tavolozza sulla tela.”

Questi sono solo pochi dei feedback ricevuti di fronte a questo dipinto, però testimoniano una grande verità: l’arte diventa un viaggio personale, un’esperienza che ciascun osservatore modella secondo la propria storia e sensibilità.

E se ci pensiamo bene, tutto ciò che ci circonda (il mondo, la natura, gli eventi, le persone…) possono diventare un’esperienza estetica, nel senso che se ne può cogliere l’aspetto artistico intrinseco, che parla al cuore di ognuno di noi a seconda di chi siamo e da dove veniamo.

La nostra società negli ultimi secoli ha guardato alla realtà da due punti di vista.

Da un lato, l’incontrovertibile prospettiva scientifica: una razionalità quasi “esatta” mescolata ad evidenze e prove dimostrate, che non lasciano spazio ad anomalie, eccezioni o diverse interpretazioni. Questa corrente di pensiero trova adito nella filosofia razionale (capeggiata da Cartesio) e quella empirista (Locke e Hume).

Però, dall’altro lato, il termine “interpretazione” presuppone che si entri in una dimensione di soggettività che esclude l’oggettività, il “dato certo”. Infatti, a livello storico, nella filosofia si registra una rivoluzione di pensiero quando Kant introduce l’idealismo trascendentale: la mente umana non recepisce il mondo esterno solo in maniera passiva, ma attivamente lo organizza e lo interpreta attraverso le strutture innate della mente, come le categorie di tempo, spazio e causalità.

Questo significa che non percepiamo la realtà per com’è, ma per come appare alle nostre strutture cognitive, il nostro “bagaglio”: i nostri schemi, credenze ed esperienze.
Questo ragionamento si può applicare a ogni esperienza umana della realtà: interpretiamo non solo un dipinto, un brano musicale, le parole che riceviamo, i segnali stradali; ci facciamo un’idea sul mondo del lavoro, su come dovrebbe essere una relazione a due, su come vogliamo educare i figli…

Insomma, abbiamo un’idea su tutto: anche su Dio. Ognuno, carico del suo “bagaglio”, almeno una volta nella vita si chiede “Da dove vengo? Perché sono qui? Dove sto andando?”

Se stai cercando un modo per comprendere la realtà che ci circonda, se sei alla ricerca di “un modo diverso di vedere le cose”… ti dedico queste parole:

Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà. (Romani 12:2)

Troppo spesso la cultura, l’educazione scolastica, e la società ci porta ad avere un pensiero unico: se sei alla ricerca del senso della tua vita, se vuoi capire se esiste un Dio oppure no, lasciati trasformare.

Cambia il punto di vista con cui guardi il mondo e la vita potrà stupirti con grandi sorprese e, chi lo sa… Dio lo potresti anche incontrare!

Seguici nel prossimo articolo, per continuare la tua ricerca!

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