Qualche giorno fa, facendo ricerche su artisti contemporanei su Google, mi sono imbattuta in un’opera che ha senza dubbio attratto il mio sguardo: L’ultima cena di David LaChapelle.
Nel panorama artistico contemporaneo, pochi riescono a catturare l’attenzione e a suscitare discussioni quanto David LaChapelle.1 È un fotografo e regista statunitense, conosciuto a livello mondiale per lo stile provocatorio e surreale che caratterizzano le sue opere.
Rimango un attimo perplessa di fronte alla fotografia: un tour de force di colori vibranti, un’estrema densità di particolari, dettagli della nostra società odierna racchiusi in una stanza che racconta di un episodio noto a tutti, anche a chi non è avvezzo di religione o cristianesimo.
Sulla scena un tavolo con attorno tredici personaggi: al centro un Gesù stereotipato circondato da dodici personaggi che paiono discepoli del XXI secolo, in un’ambientazione che ha il sapore del degrado degli “ultimi”. Tra drag queen, superstar pop e figure della cultura popolare, l’artista trasporta lo spettatore in un mondo dove la sacralità si mescola con la contemporaneità.
Infatti, per quanto del racconto biblico rimanga il filo conduttore della cena, la condivisione del pane e del vino e l’anticipazione del destino di Gesù con i suoi discepoli, la caricatura dei personaggi e l’ambientazione trasgressiva pongono domande sul significato di questo episodio per noi oggi.
Il quadro provocatorio di LaChapelle non è solo un’opera d’arte, ma anche un messaggio sociale. La presenza di icone pop e figure della cultura LGBTQ+ può essere interpretata come una critica alla rigidità delle convenzioni sociali e una celebrazione della diversità. L’opera ha suscitato reazioni intense e dibattiti accesi. Alcuni lodano la sua audacia e la sua capacità di spingere i confini dell’arte, mentre altri sollevano interrogativi sulla sacralità dell’evento raffigurato.
In particolare, LaChapelle dipinge Gesù come una figura centrale, ma appare diversa da quella delle tradizionali rappresentazioni.
“Tutti discutono bevendo birra a buon mercato, ma Cristo non pare avere alcun messaggio per l’umanità: gli occhi sbarrati, le mani che non donano niente, ma aspettano la fine della messinscena.”2
Non è insolito che un artista raffiguri Gesù in questo modo: un Dio che è fermo a duemila anni fa, vestito con gli abiti che la tradizione gli ha fatto indossare, ma con lo sguardo assente, decontestualizzato dal mondo che è venuto a salvare. E probabilmente questa immagine si è prodotta, perché la nostra cultura ha associato Dio all’esempio di chi l’ha predicato: “la Chiesa non cambia perché, come tutte le grandi istituzioni, mostra una naturale tendenza verso l’inerzia, la stabilità e la conservazione.”3
Sempre di più, oggi, si associa la dimensione spirituale di un individuo e della collettività con la religiosità statica proposta dall’istituzione ecclesiastica. Anche il termine “religione” è più spesso interpretata con l’accezione negativa di un’istituzione che lega le persone, più che liberarle.
Eppure, se davvero si torna al testo biblico, ci si rende conto che Dio aveva un progetto ben preciso anche per il nostro “mondo secolarizzato”. Perciò la domanda che sorge spontanea è: davvero il messaggio che Gesù ha predicato duemila anni fa ad oggi è vuoto e inefficace per il nostro tempo?
Anche osservando quest’opera d’arte, ecco alcuni principi che richiama alla nostra mente:
- “Non giudicate” (Matteo 7:1), in un mondo dove tutto gira intorno all’apparenza, a ciò che uno mostra rispetto a ciò che uno è, questo insegnamento può sollevare tanti dal peso dell’occhio malevole e in certi casi, salvare la vita.
- “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Matteo 9:12: in una società dove il diverso è etichettato ed emarginato, Gesù, sorpreso a cenare con i peccatori, ci porta a riflettere sul fatto che in fondo siamo tutti umani e che di base tutti abbiamo bisogno di lui.
- “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28:20): come in questa fotografia, il mondo cambia, si evolve, eppure Dio vuole rimanere seduto a tavola con noi, condividere lo stesso cibo e le stesse sfide.
L’arte di LaChapelle ci invita a riflettere sulla continuità e sulla trasformazione delle rappresentazioni sacre, offrendoci uno specchio della complessità della nostra società in rapida evoluzione.
Attraverso il suo pennello, Gesù emerge come una figura che si adatta alle sfide del nostro tempo, incanalando un messaggio di inclusività e accettazione.
“Io son venuto come luce nel mondo, affinché chiunque crede in me, non rimanga nelle tenebre. Se uno ode le mie parole e non le osserva, io non lo giudico; perché io non son venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo” (Giovanni 12:46-47)
Ecco perché, qualsiasi sia il tuo background, la tua storia, ciò che hai fatto in passato… Gesù sta invitando anche te a sederti a quel tavolo.