Come ti sentiresti se sapessi che tutto il mondo sta parlando di te, mentre sei rinchiusa tra 3 mura e una porta di sbarre da ormai 8 anni, condannata ad altri 30 in quella gabbia, 13 arresti sulle spalle e 154 frustate che ancora solcano la tua schiena?
Il 6 ottobre 2023, Narges Mohammadi riceve il Premio Nobel per la Pace. Ma l’attivista iraniana al momento è detenuta nella prigione di Shahr-e Rey, nella provincia di Teheran1, a seguito della continua lotta che porta avanti in favore della democrazia e dei diritti di donne e bambini in Iran.
Tutto il mondo parla di lei… Ma lei lo sa?
Chissà se effettivamente ha ricevuto la notizia che è stata insignita di questo prestigioso riconoscimento. Il Comitato norvegese le ha conferito il Nobel per la pace «per il lavoro importante di un intero movimento in Iran e della sua leader, per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti».2
Ha iniziato a lavorare come attivista ormai 30 anni fa, quando ancora era una studentessa, e ha sempre promosso la democrazia e la lotta per i diritti umani di tutti, a partire dalle donne e dai bambini in Iran. Soprattutto si è impegnata nella protesta contro un sistema governativo teocratico che ha represso la figura femminile nel Paese.
Quello che è certo è che la sua lotta le ha costato la carriera da ingegnere, la separazione dal marito e dai suoi figli, incluse le ultime due gemelle che, adolescenti, non la vedono da 8 anni. È potentissima l’immagine di una delle due, che qualche ora dopo la notizia, si ritrova in giardino circondata da giornalisti e telecamere, tutti a chiederle di sua madre. Quella mamma che neanche ricorda, se non vagamente l’ultimo giorno che l’ha vista, prima che la portassero via: le aveva preparato le uova a colazione e al suo ritorno da scuola non c’era più.
Come ti sentiresti se ciò in cui credi ti portasse a perdere tutto?
Sicuramente qualcuno direbbe che venire a sapere di essere stata insignita di un premio così prestigioso, pur essendo ancora in prigione, potrà averla resa orgogliosa e fiera delle sue scelte. Tuttavia, non è improbabile che questo sentimento di orgoglio sia balenato e poco dopo svanito dalla mente di Mohammadi.
Dopo 30 anni di lotta, quale sarebbe il senso di vantarsi di un premio riconosciuto dall’umanità, quando ancora l’umanità stessa non si è impegnata nella risoluzione del problema che si denuncia? Qual è il senso di tutto questo parlare, quando ancora quella stessa umanità su tanti altri fronti cade sempre sugli stessi errori, mercificando la libertà e limitando i diritti della persona?
È più plausibile che la sofferenza, la delusione, l’amarezza provata in tutti questi anni si mischino con la rabbia, lo sconforto e quella sensazione di aver raggiunto il limite. Ma è altrettanto possibile, se non certo, che questa notizia susciti ancora una volta quello che è il sentimento più forte nell’essere umano: la speranza.
Chissà se dopo questo premio, dopo che il mondo è venuto a conoscenza e ormai nessuno è all’oscuro del fatto che i diritti di donne e bambini in Iran vengono calpestati, qualcosa cambierà. La speranza suscita ancora una volta, ancora di più un senso di rivalsa, un forte desiderio di rimanere fedele a ciò in cui si crede. In una delle varie interviste del passato, la Mohammadi ha affermato: “Più mi puniscono [NdT, i funzionari del governo iraniano], più mi tolgono, più divento determinata a combattere affinché otteniamo democrazia e libertà: null’altro”3
La storia di Narges Mohammadi ricorda un altro uomo che ha dedicato la sua vita a diffondere un messaggio di speranza, a creare un movimento di cambiamento e di rinascita del mondo intero. In una sua lettera, scritta circa duemila anni fa mentre era detenuto e legato da catene, affermava:
«io non penso davvero di aver già conquistato il premio. Faccio una cosa sola: dimentico quel che sta alle mie spalle e mi slancio verso quel che mi sta davanti. Continuo la mia corsa verso il traguardo per ricevere il premio della vita alla quale Dio ci chiama per mezzo di Gesù Cristo»4
Come ti sentiresti se ciò in cui credi ti portasse a perdere tutto? L’apostolo Paolo e Narges Mohammadi sono due esempi che voglio ricordarci un insegnamento potente: quando rimani fedele a te stesso e a ciò per cui sei stato chiamato a vivere, anche se perdessi tutto, avresti comunque vinto.